Da un po' di tempo pensavo di tornare a scrivere su questo blog.
Avrei desiderato farlo con qualcosa di leggero, che alleviasse la fatica del ritorno al lavoro dopo le ferie, che ci potesse dare la forza per affrontare una nuova stagione di lavoro, sempre più affollata da difficoltà di vario genere (si fa un bel parlare, ma per noi, lavoratori dipendenti o autonomi, direttamente coinvolti nella produzione di beni, e non di chiacchiere, le difficoltà, anziché diminuire, crescono a dismisura).
Bene, alla fine della giornata, l'emozione che più mi rimane dentro di queste ultime ore è quella che segue.
Oggi è stata una bella giornata di sole. Non una delle tante giornate afose di questa calda estate, ma una giornata soleggiata con una leggera brezza frizzantina.
Il telegiornale che seguo solitamente durante la pausa per il pranzo ha proposto un servizio su una quarantina di minatori sardi che, per scongiurare la perdita del posto di lavoro (sembra che la miniera sia destinata a chiudere) si sono barricati nei meandri profondi del loro posto di lavoro e sono determinati a difendere quell’occupazione che assicura loro e alle loro famiglie un po’ di dignità.
Che contrasto: da quanto, queste persone non vedono il loro bel sole di Sardegna? Probabilmente, a pochi chilometri di distanza, negli yacht ormeggiati nelle cristalline acque sarde, qualcuno sta stappando una bottiglia che costa l’equivalente di un mese di lavoro in miniera.
Questa è l’amara constatazione che mi è sorta spontanea nella pausa pranzo.
Questa sera, tornando dal lavoro, come sono solito fare, ho sintonizzato l’autoradio su un notiziario per ascoltare le notizie della giornata.
Si parlava ancora dei minatori sardi. Si diceva dell’appello del Presidente della Repubblica per risolvere la situazione e poi il cronista ha aggiunto un particolare che mi ha colpito molto: uno dei minatori si è ferito gravemente tagliandosi le vene dei polsi per dare maggiore risonanza alla sua protesta.
Sapete cosa mi è passata per la mente? Mi sono salite le lacrime agli occhi e, nitidissima nel mio ricordo la scena in “Novecento” di Bertolucci nella quale un contadino si taglia di netto volontariamente un orecchio con la roncola da lavoro. Io credo che la disperazione di questi lavoratori sia identica. A cosa può portare la disperazione, l’impossibilità di assicurare alla propria famiglia il minimo sostentamento, che non basta dare tutto di se stessi?
Io lo so bene perché rivedo con gli occhi del bambino che sono stato, il darsi con sacrifici indescrivibili dei miei genitori per mandare avanti la famiglia in mezzo a mille difficoltà e con i soldi che non bastavano mai. E, se questi miei pensieri sono disturbati, di tanto in tanto, da una voce aleggiante che dice “quel giocatore prende un milione di euro al mese” “quell’attore prende 50 milioni di euro per un film” “quell’altro ha preso 40 milioni per portare al fallimento l’Alitalia…” ecco che mi si rovina l’umore per il resto della giornata.
Io non concepisco che si possa considerare normale questo assetto sociale. È moralmente inaccettabile. Sono d’accordo con il premiare i meriti e l’impegno di chi si sacrifica più di altri. Altroché se sono d’accordo. Quello che trovo completamente sballati sono i parametri che determinano questo. Ma non è neanche un discorso di parametri. Qui non esistono proprio.
Fino a quando potrà essere sopportabile questo?
Un cordiale saluto da Franco