Forse oggi non si usa più, ma quando frequentavo le scuole elementari, durante le lezioni una delle prove più intriganti era “Il dettato”.
Il maestro, con voce chiara e severa pronunciava frasi di bella forma che nei nostri quaderni di scolaretti assumevano le forme più distorte e devastanti.
Ricordo una lezione sui dittonghi che il mio amico Luca non aveva appreso appieno. Il suo dettato di quel giorno è diventato un “cult”, ne è uscito un “Il caccatore caccava dietro il cespuglio” che in originale era “Il cacciatore cacciava dietro il cespuglio”. Ancora adesso, dopo quarant’anni, in qualche circostanza viene ricordata con un sorriso quella frase.
Da piccolo non invidiavo Luca ma lo ritenevo certamente più fortunato. Ad esempio, lui abitava a due passi dalla scuola materna, in pratica la sua casa ci confinava. Io mi dovevo alzare ogni mattina due ore prima per esserci portato sul palo della bicicletta e affidato a suor Alma, benvoluta da tutti e in particolare dalla mia mamma che poteva così arrivare puntuale al lavoro. Ero uno stakanovista della scuola materna: ero il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene (qualcuno mi veniva a prendere dopo il lavoro). Credo che tutta questa disponibilità di tempo, in gran parte in solitudine, abbia favorito la mia capacità di riflessione e introspezione. Sì, perché l’imperativo era “fare il bravo”, ovvero starsene buoni senza disturbare. I pochi giochi in dotazione alla scuola non potevano certo essere usati fuori orario. Giocavo, allora, con la fantasia: viaggi e avventure immaginarie che nessuno poteva impedire, ma anche riflessioni e considerazioni (ovviamente commisurate alla mia età di bambino).
Proprio perché amavo l’avventura, uno dei momenti che ricordo con piacere riguarda un pomeriggio in compagnia degli amichetti di scuola a casa di Luca. I suoi genitori lavoravano la lana e, proprio sotto un piano rialzato erano stoccati enormi sacchi di morbida lana. Ah… che tuffi da quel piano rialzato. Che emozione quel breve volo. E poi l’atterraggio sul morbido.