Da buon cittadino italiano, ogni qualvolta sento parlare di contraffazioni dei prodotti tipici italiani mi indigno e provo una gran rabbia nei confronti dei malfattori di turno. Personalmente sono convinto che non si fa abbastanza per arginare questo fenomeno che danneggia enormemente il nostro paese.
Un minimo contributo può essere dato da ognuno di noi acquistando italiano anche quando certi cartellini dei prezzi ci fanno l’occhiolino risultando molto invitanti.
Purtroppo, la crisi economica che ci attanaglia da ormai molti mesi ci rende miopi al punto che non riusciamo a vedere più in là del prezzo. Se il nostro sguardo potesse andare oltre, vedremmo, dietro il cartellino del prezzo, situazioni di sfruttamento, di mancanza di sicurezza sul posto di lavoro, minori sfruttati e l’uso di materie prime tra le più scadenti che offre il mercato.
Molto spesso, e non a torto, il prodotto contraffatto viene associato a produttori cinesi per i quali lo sfruttamento di manodopera malpagata e non in regola va di pari passo con l’evasione fiscale pressoché totale. Quando costretti ad avere una partita Iva, perché proprio non ne possono fare a meno, questa viene chiusa nel giro di un anno, massimo uno e mezzo, precludendo ogni controllo da parte della Guardia di Finanza. Ditte che nascono e muoiono senza lasciare traccia e senza lasciare un soldo all’erario, il quale è costretto a spremere con sempre maggiore spietatezza chi, fedele a principi di onestà e rettitudine si vede privato di una fetta sempre più grande del frutto del suo lavoro, fino a quando non ce la fa più.
Un fenomeno di cui sono amaro testimone diretto, in questi ultimi tempi è questo: molte aziende italiane prendono esempio dai cinesi e si comportano allo stesso modo generando situazioni assurde di cui, per esperienza personale, vi dirò nel prossimo post di questo blog.