18/04/2018
Mi immergevo nella magia delle storie disegnate. Facevo mio ogni piccolo segno di ogni piccola vignetta. Che si trattasse di Zagor, il mio eroe preferito, oppure dello sfortunato Paperino e dell’avaro zio Paperone, quel mondo di fantasia mi catturava e mi faceva sognare.
Ero un divoratore seriale di fumetti. Ah, quante persone ho conosciuto mosso dallo scopo di scambiare i “giornaletti”.
Ma, nonostante tutto, non mi bastavano mai. Allora, stabilivo un particolare ordine di rilettura privilegiando le storie più belle. E, ad ogni rilettura, riuscivo a scoprire ed apprezzare nuovi particolari di testi e disegni. Immaginavo il lavoro del soggettista e del disegnatore. Apprezzavo ogni singola vignetta come risultato di un lavoro scaturito da fatica, prove e correzioni.
Ho letto di tutto fin dalla più tenera età. Dai romanzi rosa di mia sorella, ai fotoromanzi, alle dispense settimanali della storia della grande guerra…
Certe cose non le digerivo proprio. Certe altre le leggevo e le rileggevo.
Perché questa immersione nei ricordi di bambino?
Perché ieri sera mi sono imbattuto in “C’era una volta in America”, e pur essendo un film chilometrico che si è addentrato nel pieno della notte, non sono riuscito a non guardarlo per l’ennesima volta.
Quale perfezione! Che equilibrio di contenuti, che perfetto montaggio, che fotografia incredibile, che musica sublime, che stupenda recitazione, che perfetta regia.
Storia di amicizia, amore, violenza…
Ci sono certe corde alle quali sono particolarmente sensibile. Per altre persone non è così.
Ricordo, ad esempio, la prima volta che, insieme agli amici, sono andato a vedere “2001 Odissea nello Spazio”, incredibile capolavoro con un finale “aperto” alle più profonde interpretazioni. Al termine della proiezione, ancora spiazzato da questo film meraviglia, mi sono lasciato sfuggire un “Mah…” al quale avrei fatto seguire l’esternazione di un incredibile stato d’animo dopo tal visione.
Ma non ho fatto in tempo ad aggiungere niente altro che Andrea, interpretando quel “Mah…” come un’espressione di delusione, ha iniziato ad esprimere tutta la sua amarezza e delusione per un pomeriggio sprecato a guardare un film di bassa lega.
Ma tutto questo discorso, che attinenza può avere con il mondo dell’arredamento?
Beh, senza voler trascinare nessuno nel campo delle mie idee, una mia considerazione è che un mobile è come un film.
Un mobile artigianale è come un film d’autore.
I film dozzinali girati in un giorno, quelli che non riesci ad arrivare alla fine, quelli che se arrivi alla fine dopo un’ora non te li ricordi più, sono come mobili industriali, in kit di montaggio…
Un film d’autore si ammira e rimane un valore al di là del tempo. Un mobile artigianale, lo stesso.
Un film dozzinale serve a malapena a trascorrere due ore in una sala. E dura solo per quelle due ore, o poco più. E magari non ci piace fin dall’inizio.
Un mobile artigianale parla di sé. Mi sembra di rileggere un fumetto. Vedo il lavoro che c’è dietro un risultato. Il lavoro e l’impegno di diverse persone. Tentativi, prove e correzioni fino ad ottenere il risultato voluto. Ci si può soffermare sui particolari, scoprendo sempre nuovi dettagli.
È come un film che si riguarda o come un fumetto che si rilegge. Ogni volta si scoprono particolarità nuove. Preziosismi rari e seminascosti.
Dietro un mobile artigianale spesso c’è la mano di un Sergio Leone, di un Ennio Morricone, di uno Stanley Kubrick, che magari non hanno questi nomi ma che, nel loro lavoro, per impegno e meticolosità, sono molto simili.